Nell’omelia al funerale del vescovo Antonio, don Luciano Monari ha indicato alcuni elementi di un profilo che può costituire il nucleo di una memoria grata. Elementi consapevoli: l’essere una personalità ecclesiale, attaccata alle radici, l’essere sereno e il predicare come pastore. Elementi indiretti: l’apprendere gradualmente l’oblatività, l’essere un corpo opaco, rivolto all’adozione finale. Apprendere gradualmente ad amare.
Secondo mons. Monari, il cristiano è uno che porta la croce e apprende “gradualmente l’amore oblativo, quella forma sorprendente di amore che trova la sua gioia nel donare gioia agli altri”. Mi sembra un elemento peculiare anche del vescovo Antonio, che all’inizio, avendo ancora attenzione a Cesena, faticava ad avviare relazioni piene. Poi si poteva avvertire in lui il bisogno di essere amato e il timore di dover affrontare dei pro-blemi. Ha messo da parte “il bisogno di successo, la volontà di prevalere sugli altri” ma ha sofferto una “potatura”. Una personalità ecclesiale. “La personalità di don Antonio è stata essenzialmente una personalità ecclesiale, quella di una persona che nella appartenenza e nel servizio alla Chiesa ha trovato tutto il senso della sua vita”. E’ il primo esplicito tratto biografico e lo rende paragonabile a mons. Quadri, il quale per altro aveva anche l’interesse del mondo del lavoro, più che a mons. Cocchi. Questi si sentiva a suo agio in mezzo alla gente più che nella chiesa istituzione, mentre Lanfranchi si sentiva come custodito, vivendo “al servizio della Chiesa”. Attaccamento alle radici. “Don Antonio è stato sostenuto da robuste radici alle quali era profondamente legato […]. E sono convinto che proprio da queste ra-dici don Antonio ha ricevuto molto di quell’equilibrio che lo ha accompagnato”. Egli era sicuro quando sperimentava qualcosa di conforme ai riferimenti in mezzo ai quali era cresciuto. Forse anche il suo ripetere la gratitudine per il dono della vita (da ultimo nel testamento) ha questo significato. Una visuale serena. Personalmente l’aspetto più costante è questo: essere un uomo dalla visuale serena, dalla parola e dai modi sempre esenti da ogni pes-simismo. Don Monari ha indicato: “le difficoltà, le opposizioni, i fallimenti non sono mai riusciti a togliergli quell’ottimismo di fondo che è un sottoprodotto della speranza cristiana”. Un magistero curato e gioioso. Secondo Monari don Antonio “ha sempre messo un impegno grande nel preparare le omelie, i diversi interventi, soprattutto i messaggi alla città e le lettere pastorali”. In questo modo ha voluto servire la voce del buon Pastore verso “tutti, per raggiungere anche quelli che si sentivano lontani dalla fede e dalla Chiesa”. Testimoniava volentieri la gioia ai giovani: “penso ai Martedì del vescovo e alla testimonianza che in questo contesto egli ha dato sulla sua malattia”. Un corpo opaco, in attesa del compimento. L’ultimo tratto biografico lo ricavo dall’ultima parte dell’omelia del vescovo di Brescia, dedicata con originalità alla corporeità: “pensavo al mistero di quel corpo che lo ha servito per tanti anni come strumento di esperienze, di relazioni, di attività; e che poi, in questi ultimi mesi, lo ha apparentemente ‘tradito’ mostrando la sua fragilità”. Mi sembra che i condizionamenti che mons. Lanfranchi ha sopportato siano legati alla finitudine del corpo non poco. Si vedeva che avrebbe voluto di più e che invece si ritirava, non solo nell’ultimo periodo. Propongo di leggere nella sapienza della croce la minor presenza sulla scena pubblica e le risposte a volte deboli alle nostre domande come un rinvio al Signore. Il destino di Antonio non era di rispondere alle nostre attese ma di essere assunto da “la vita piena in Dio”. Il nostro vescovo ha puntato la sua “speranza oltre i limiti ristretti del mondo” e l’ha aperta a Dio.
Marco Pongiluppi